Pronunce della Corte di Cassazione sui liquami zootecnici e letame: esclusione dalla normativa rifiuti
Due recenti pronunce della Corte di Cassazione penale riportano all’attenzione la questione generale dell’ ambito di applicazione dalla disciplina dei rifiuti ex art.185, comma 1, lett.f) del D.lgs 3 aprile 2006, n.152 ed in particolare delle materie fecali e dei liquami zootecnici.
Risulta ormai consolidato l’orientamento della Suprema Corte nel ribadire che l’art.185 suindicato esclude dal novero dei rifiuti le materie fecali, se non rientrano nei sottoprodotti di origine animale di cui al Regolamento CE n.1069/2009, oltre a paglia……nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura,…….; quindi risulta evidente che le materie fecali, per non soggiacere alla rigida disciplina dei rifiuti, devono provenire esclusivamente da attività agricola e della loro successiva utilizzazione nella medesima.
La stessa giurisprudenza sia di merito che di legittimità ha più volte delineato quanto già si evidenzia dal tenore letterale della norma summenzionata ribadendo che le materie fecali provengano e vengano successivamente utilizzate nel solo ambito agricolo; a titolo esemplificativo e non esaustivo basti ricordare la sentenza n.16.200 del 14 aprile 2014 della Sezione Penale della Suprema Corte con la quale veniva esaminata il caso di materie fecali che provenivano non da una attività agricola ma bensì da una attività industriale di allevamento intensivo di carne e latte e tale materiale veniva utilizzato come ammendante sui terreni.
Il giudice di legittimità sottolineava come nel caso in specie non ricorreva il caso di esclusione di cui all’art.185, comma 1, lett.f) in quanto l’esclusione riguarda solo il letame agricolo e non quello proveniente da attività industriale o quello dei circhi.
Più di recente il supremo consesso con la sentenza Cassazione Penale, sez.III, del 29 agosto 2016 confermava la condanna per il reato di cui all’art.256, comma 1, lett. a) D.lgs n.152/06 del titolare di un’impresa individuale, esercente attività di trasporto di animali vivi per conto di terzi con contestuale gestione di una stalla dove venivano collocati temporaneamente gli animali prima di trasportarli agli allevamenti o alla macellazione, il quale smaltiva illecitamente le deiezioni animali solide proveniente dalle pulizie delle stalle e dei mezzi di trasporto.
La Corte richiamandosi ai precedenti giurisprudenziali in materia osservava come nel caso in esame il letame non proveniva da attività agricola ma da una attività di trasporto bestiame e che non veniva riutilizzata come concime in una ipotetica attività agricola la quale utilizzazione, tra l’altro precisa la Corte, deve essere svolta nel rispetto delle condizioni previste dal D.M. 25 febbraio 2016 e della normativa regionale.
Ad analoga conclusione è giunta la Sezione Feriale della Cassazione Penale che con sentenza n.34874 del 12 agosto 2016, condannava per gestione illecita di rifiuti non pericolosi allo stato liquido non pericoloso, l’imputato che riversava urina di cavalli, custoditi in una stalla, direttamente lungo la sponda di un campo sportivo unitamente alle acque residue del lavaggio senza raccogliere tali rifiuti in apposite vasche di raccolta delle acque reflue, e depositando la parte solida costituita da letame direttamente sui terreni circostanti.
Con questa pronuncia la Cassazione si sofferma sulla pratica della “fertirrigazione” richiamata a propria difesa dall’imputato contestando la sentenza di merito in quanto, il letame, a suo dire, veniva utilizzato per la concimazione del terreno e quindi trattasi di attività lecita di utilizzazione agronomica degli effluenti derivanti da allevamenti e non di gestione abusiva di rifiuti così come sostenuto dall’accusa.
Il giudice di legittimità ha sottolineato che per aversi attività lecita di fertirrigazione, al fine di sottrarre le deiezioni animali dalla normativa sui rifiuti, è necessario sia l’esistenza di terreni dedicati alla coltura con l’adeguatezza di quantità e qualità delle deiezioni con modalità e tempi di spandimento di tali effluenti rispetto alle necessità delle colture che insistono sulle aree oggetto dello spandimento; inoltre va sempre escluso che trovasi di fronte ad una attività di fertirrigazione quando i liquami vengono fatti “ruscellare” lungo i campi cioè con un sistema a caduta libera che sottintende una chiara volontà di disfarsi di rifiuti allo stato liquido e non di finalità ammendante delle colture.
Concludo richiamando i presupposti che sono necessari affinché si abbia utilizzazione agronomica:
a) Applicazione al terreno cioè un apporto materiale al terreno attraverso lo spandimento di tali materiali o attraverso iniezione o interramento cioè attività controllate;
b) Gli effluenti possono essere di allevamento, di acque di vegetazione che residuano dalla molitura delle olive, o da acque reflue che provengono da aziende agricole o piccole aziende aro-alimentari.
In conclusione qualsiasi refluo cioè sia esso di acqua di vegetazione dalla lavorazione delle olive, sia esso di refluo zootecnico, qualora manchino i presupposti suindicati non può essere utilizzato per una lecita attività di fertirrigazione (utilizzazione agronomica) ma va ascritto tra i rifiuti allo stato liquido e in quanto tali gestito secondo le regole contenute nella parte IV del D.lgs. n.152/2006.
Luciano Gianpietro
Due recenti pronunce della Corte di Cassazione penale riportano all’attenzione la questione generale dell’ ambito di applicazione dalla disciplina dei rifiuti ex art.185, comma 1, lett.f) del D.lgs 3 aprile 2006, n.152 ed in particolare delle materie fecali e dei liquami zootecnici.
Risulta ormai consolidato l’orientamento della Suprema Corte nel ribadire che l’art.185 suindicato esclude dal novero dei rifiuti le materie fecali, se non rientrano nei sottoprodotti di origine animale di cui al Regolamento CE n.1069/2009, oltre a paglia……nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura,…….; quindi risulta evidente che le materie fecali, per non soggiacere alla rigida disciplina dei rifiuti, devono provenire esclusivamente da attività agricola e della loro successiva utilizzazione nella medesima.
La stessa giurisprudenza sia di merito che di legittimità ha più volte delineato quanto già si evidenzia dal tenore letterale della norma summenzionata ribadendo che le materie fecali provengano e vengano successivamente utilizzate nel solo ambito agricolo; a titolo esemplificativo e non esaustivo basti ricordare la sentenza n.16.200 del 14 aprile 2014 della Sezione Penale della Suprema Corte con la quale veniva esaminata il caso di materie fecali che provenivano non da una attività agricola ma bensì da una attività industriale di allevamento intensivo di carne e latte e tale materiale veniva utilizzato come ammendante sui terreni.
Il giudice di legittimità sottolineava come nel caso in specie non ricorreva il caso di esclusione di cui all’art.185, comma 1, lett.f) in quanto l’esclusione riguarda solo il letame agricolo e non quello proveniente da attività industriale o quello dei circhi.
Più di recente il supremo consesso con la sentenza Cassazione Penale, sez.III, del 29 agosto 2016 confermava la condanna per il reato di cui all’art.256, comma 1, lett. a) D.lgs n.152/06 del titolare di un’impresa individuale, esercente attività di trasporto di animali vivi per conto di terzi con contestuale gestione di una stalla dove venivano collocati temporaneamente gli animali prima di trasportarli agli allevamenti o alla macellazione, il quale smaltiva illecitamente le deiezioni animali solide proveniente dalle pulizie delle stalle e dei mezzi di trasporto.
La Corte richiamandosi ai precedenti giurisprudenziali in materia osservava come nel caso in esame il letame non proveniva da attività agricola ma da una attività di trasporto bestiame e che non veniva riutilizzata come concime in una ipotetica attività agricola la quale utilizzazione, tra l’altro precisa la Corte, deve essere svolta nel rispetto delle condizioni previste dal D.M. 25 febbraio 2016 e della normativa regionale.
Ad analoga conclusione è giunta la Sezione Feriale della Cassazione Penale che con sentenza n.34874 del 12 agosto 2016, condannava per gestione illecita di rifiuti non pericolosi allo stato liquido non pericoloso, l’imputato che riversava urina di cavalli, custoditi in una stalla, direttamente lungo la sponda di un campo sportivo unitamente alle acque residue del lavaggio senza raccogliere tali rifiuti in apposite vasche di raccolta delle acque reflue, e depositando la parte solida costituita da letame direttamente sui terreni circostanti.
Con questa pronuncia la Cassazione si sofferma sulla pratica della “fertirrigazione” richiamata a propria difesa dall’imputato contestando la sentenza di merito in quanto, il letame, a suo dire, veniva utilizzato per la concimazione del terreno e quindi trattasi di attività lecita di utilizzazione agronomica degli effluenti derivanti da allevamenti e non di gestione abusiva di rifiuti così come sostenuto dall’accusa.
Il giudice di legittimità ha sottolineato che per aversi attività lecita di fertirrigazione, al fine di sottrarre le deiezioni animali dalla normativa sui rifiuti, è necessario sia l’esistenza di terreni dedicati alla coltura con l’adeguatezza di quantità e qualità delle deiezioni con modalità e tempi di spandimento di tali effluenti rispetto alle necessità delle colture che insistono sulle aree oggetto dello spandimento; inoltre va sempre escluso che trovasi di fronte ad una attività di fertirrigazione quando i liquami vengono fatti “ruscellare” lungo i campi cioè con un sistema a caduta libera che sottintende una chiara volontà di disfarsi di rifiuti allo stato liquido e non di finalità ammendante delle colture.
Concludo richiamando i presupposti che sono necessari affinché si abbia utilizzazione agronomica:
a) Applicazione al terreno cioè un apporto materiale al terreno attraverso lo spandimento di tali materiali o attraverso iniezione o interramento cioè attività controllate;
b) Gli effluenti possono essere di allevamento, di acque di vegetazione che residuano dalla molitura delle olive, o da acque reflue che provengono da aziende agricole o piccole aziende aro-alimentari.
In conclusione qualsiasi refluo cioè sia esso di acqua di vegetazione dalla lavorazione delle olive, sia esso di refluo zootecnico, qualora manchino i presupposti suindicati non può essere utilizzato per una lecita attività di fertirrigazione (utilizzazione agronomica) ma va ascritto tra i rifiuti allo stato liquido e in quanto tali gestito secondo le regole contenute nella parte IV del D.lgs. n.152/2006.
Luciano Gianpietro
Luca D'Alessandris