Centri di raccolta comunali di rifiuti solidi urbani: facciamo chiarezza

Il corpus normativo dei centri di raccolta risulta essere costituito dall’articolo 183 lettera mm) del D. lgs 152/06 che li definisce: “area presidiata e allestita, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, per l’attività di raccolta mediante raggruppamento differenziato dei rifiuti urbani per frazioni omogenee conferiti dai detentori per il trasporto agli impianti di recupero e trattamento. La disciplina dei centri di raccolta è data con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza unificata, di cui al D.lgs 28/08/1997 n.281.Il provvedimento ministeriale suindicato (recante la disciplina dei CdR di rifiuti urbani) è stato adottato  con D.M. 8 aprile 2008, modificato ed integrato con D.M. 13 maggio 2009, che all’articolo 1 recita: “i centri di raccolta comunali ed intercomunali disciplinati dal presente decreto sono costituiti da aree presidiate ed allestite ove si svolge unicamente attività di raccolta, mediante raggruppamento per frazioni omogenee per il trasporto agli impianti di recupero, trattamento e, per le frazioni non recuperabili, di smaltimento, dei rifiuti urbani e assimilati elencati in allegato I, paragrafo 4.2., conferiti in maniera differenziata rispettivamente dalle utenze domestiche e non domestiche anche attraverso il gestore del servizio pubblico, nonché degli altri soggetti tenuti in base alle vigenti normative settoriali al ritiro di specifiche tipologie di rifiuti dalle utenze domestiche”.

Il quadro normativo si è poi concluso con la deliberazione del comitato nazionale n.2 del 20 luglio 2009 con la quale sono stati stabiliti i requisiti di iscrizione per le imprese che intendono gestire tali centri facendo rientrare tale attività nell’ambito dell’operazione di raccolta di rifiuti e quindi nella categoria 1 (raccolta e trasporto rifiuti urbani).

 Dalla lettura di tali disposizioni normative si evince che il CdR si identifica come il luogo, debitamente autorizzato ed in possesso dei requisiti minimi previsti, attraverso il quale si eroga un servizio pubblico a favore della comunità cittadina; ovvero una struttura complementare ai tradizionali servizi di raccolta differenziata che, attraverso la messa a disposizione dell’utenza di appositi spazi attrezzati per consentire il conferimento e successivo raggruppamento differenziato di alcune tipologie di rifiuti solidi urbani e assimilati, assicura come obiettivo l’incremento della raccolta dei rifiuti ivi conferiti che vengono sottratti all’abbandono abusivo sul territorio ed avviati prioritariamente ad operazioni di recupero e, per le frazioni non recuperabili, ad operazioni di smaltimento.

Tralasciando gli aspetti tecnici disciplinati dalla normativa suindicata relativamente all’ubicazione dei centri, all’aspetto progettuale ed autorizzativo ed alle modalità di gestione, analizziamo alcuni aspetti relativamente ai soggetti autorizzati a conferire i rifiuti e le relative autorizzazioni di cui munirsi.

Ci si è chiesti se un’impresa che intende trasportare ai centri di raccolta i rifiuti speciali prodotti dalla propria attività, sia obbligata ad iscriversi all’Albo ai sensi dell’articolo 212, comma 8, del D.lgs 152/06 qualora tali rifiuti siano stati assimilati ai rifiuti urbani.

Sulla vaxata quaestio con Circolare n.437 del 29 maggio 2015 il Comitato Nazionale ha stabilito l’obbligo d’iscrizione nella categoria 2-bis di cui al DM 120/2014 in quanto l’articolo 212, comma 8, del citato decreto legislativo non opera alcuna distinzione tra i rifiuti speciali ed i rifiuti assimilati ai rifiuti urbani e non prevede alcuna deroga all’obbligo di iscrizione all’Albo per il trasporto di questi ultimi effettuato dal produttore iniziale.

 Lo stesso Comitato dell’Albo si era già pronunciato in merito alla gestione dei centri di raccolta con la Circolare n. 1656 del 28 ottobre 2008 con la quale, in armonia con le disposizioni di cui all’articolo 212 del D.lgs 152/06 e con quelle del D.M. 406/98 (Regolamento dell’Albo oggi abrogato e sostituito dal D.M. 120/2014), dispone che i Comuni non sono ricompresi tra i soggetti destinatari dell’obbligo d’iscrizione per l’attività di gestione dei centri di raccolta.

Al contrario, si coglie l’occasione di chiarire, per completezza di informazione,  che nel caso di attività di trasporto dei rifiuti prodotti da attività di manutenzione svolte in economia, i Comuni posso chiedere e ottenere l’iscrizione nella categoria 2-bis, ex articolo 8, comma 1, lettera b), del D.M. 120/2014, per la raccolta e il trasporto dei propri rifiuti non pericolosi e pericolosi; a tal fine il Comune specificherà l’attività per la quale intende richiedere l’iscrizione in categoria 2-bis alla Sezione regionale dell’Albo.

Sempre in merito all’individuazione dei soggetti che possono conferire i rifiuti presso i CdR si precisa che se trattasi di utenze domestiche le stesse non sono iscritte all’Albo mentre se trattasi di imprese esse possono conferire se iscritte in categoria 1, in categoria 2-bis ed in categoria 3-bis.

Si precisa che il termine utenza domestica identifica il privato cittadino che produce rifiuti urbani e non certamente rifiuti assimilati agli urbani in quanto quest’ultimi sono rifiuti in origine speciali cioè provenienti da attività produttiva o di servizio  ma che in base ad appositi regolamenti comunali vengono assimilati e quindi gestiti come urbani dallo stesso comune che li prende in carico nell’ambito della raccolta e gestione dei rifiuti urbani (servizio pubblico).

Pe quanto concerne invece le modalità di trasporto dei rifiuti conferiti e raccolti presso i CdR, cioè in uscita da essi,  questo può avvenire o a cura di imprese iscritte nella categoria 1 (raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani) oppure ,in applicazione delle Circolari n.1464del 16 luglio 2009 e n.2937 del 22 aprile 2003 del Comitato Nazionale dell’Albo, a cura di imprese iscritte nelle categorie 4 e 5 precisando, però, che tale trasporto deve limitarsi al tragitto dalle piazzole/piattaforme o centri di raccolta agli impianti di smaltimento/recupero.

Sui centri di raccolta è intervenuto di recente il Tar Sicilia (CT)  Sez. I  n. 18 del 9 gennaio 2017, il quale, con questa pronuncia, partendo dalla definizione di centro di raccolta differenziata (CdR) di cui all’art.183, let.mm) del D,lgs n.152/06 secondo il quale si definisce come” area presidiata ed allestita, senza ulteriori oneri a carico della finanza pubblica, per l’attività di raccolta mediante raggruppamento differenziato dei rifiuti per frazioni omogenee conferiti dai detentori per il trasporto agli impianti di recupero e trattamento…” rigetta il ricorso presentato da alcuni proprietari di immobili residenti o esercenti attività imprenditoriali in prossimità di una località ove  l’ente pubblico (il Comune) aveva individuato un area per l’allestimento di un CdR comunale di Rsu e assimilati; i ricorrenti lamentavano che la realizzazione della “discarica” in quel territorio comunale  creava danno alla salute e alla incolumità pubblica degli abitanti; inoltre il centro verrebbe realizzato senza il nulla osta dell’AUSL competente per l’incidenza e gli effetti nocivi dei rifiuti pericolosi conferiti nel centro.

Il Tar precisando, come da definizione normativa sopra riportata, che in conformità alle disposizioni tecniche ministeriali contenute nel D.M.8 aprile 2008 e s.m.i., ovvero che nei CdR non viene svolto alcun trattamento di rifiuti ma viene posta in essere la sola ed esclusiva attività di raccolta di rifiuti urbani mediante raggruppamento differenziato per categorie omogenee ai fini del successivo trasporto presso gli impianti di trattamento (recupero o smaltimento), lo stesso non soggiace a tutte le prescrizioni cautelative che invece informano la disciplina dei centri di trattamento (discariche) ma esso deve possedere solo i requisiti che attengono alla localizzazione dell’area di raccolta  e alla sua costruzione secondo quando stabilito nel suindicato decreto ministeriale.

Il profili urbanistico, nel caso in esame, è coerente con la destinazione d’uso dell’area ricadente in una zona da destinare, secondo il piano regolatore, a servizi, attrezzature ed impianti di interesse generale, e che il posizionamento della struttura risponde a tali requisiti essendo stata realizzata in prossimità della reta viaria di scorrimento nonchè era stata dotata di specifiche tecniche quali recinzioni e barriere di contenimento, impermeabilizzazione, gestione delle acque, tutto nel pieno rispetto della normativa vigente.

In conclusione il giudice amministrativo consolida l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale secondo il quale l’attività dei centri di raccolta non è assoggettabile ad autorizzazione regionale o provinciale laddove la sua realizzazione è soggetta unicamente all’approvazione del comune territorialmente competente; tali centri non possono essere classificati alla stregua degli impianti di trattamento, smaltimento e

recupero, i quali sono invece sottoposti al regime autorizzatorio proprio degli impianti di gestione dei rifiuti .

A titolo esemplificativo e non esaustivo si richiama il contenuto delle sentenze n.17864 del 9 maggio 2011 e n.1690 del 14 gennaio 2013 entrambe  della Cassazione Penale-Sez.III-secondo le quali  a seguito dell’introduzione nel D.lgs. n.152/06 della definizione di “centro di raccolta”, non può più essere seguito l’orientamento che attribuiva in passato alle eco piazzole la qualifica di centri di stoccaggio di rifiuti soggetti al corrispondente regime autorizzatorio, poiché tali aree sono normativamente individuate come attività di raccolta in cui viene fatto espresso divieto di effettuare trattamenti di qualsiasi tipo, fatte salve alcune eccezioni come la riduzione volumetrica delle frazioni solide per agevolarne il successivo trasporto.

Per cui solo nel caso in cui si accerti che presso il CdR si svolgono operazioni di gestione di rifiuti in contrasto con la funzione propria del centro, allora possono ricorrere gli estremi del reato di gestione illecita di rifiuti con conseguenze sul piano penale e la necessità che in tali casi si renda necessaria l’autorizzazione regionale o provinciale.    

27/09/2017

Luciano Gianpietro 

 

www.consulenzagestionerifiuti.it

Riprodurre integralmente o parzialmente il presente testo senza citare l'autore e la fonte, è reato ai sensi della Legge 633/1941 s.m.i. con Legge 248/2000.

Il corpus normativo dei centri di raccolta risulta essere costituito dall’articolo 183 lettera mm) del D. lgs 152/06 che li definisce: “area presidiata e allestita, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, per l’attività di raccolta mediante raggruppamento differenziato dei rifiuti urbani per frazioni omogenee conferiti dai detentori per il trasporto agli impianti di recupero e trattamento. La disciplina dei centri di raccolta è data con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza unificata, di cui al D.lgs 28/08/1997 n.281.Il provvedimento ministeriale suindicato (recante la disciplina dei CdR di rifiuti urbani) è stato adottato  con D.M. 8 aprile 2008, modificato ed integrato con D.M. 13 maggio 2009, che all’articolo 1 recita: “i centri di raccolta comunali ed intercomunali disciplinati dal presente decreto sono costituiti da aree presidiate ed allestite ove si svolge unicamente attività di raccolta, mediante raggruppamento per frazioni omogenee per il trasporto agli impianti di recupero, trattamento e, per le frazioni non recuperabili, di smaltimento, dei rifiuti urbani e assimilati elencati in allegato I, paragrafo 4.2., conferiti in maniera differenziata rispettivamente dalle utenze domestiche e non domestiche anche attraverso il gestore del servizio pubblico, nonché degli altri soggetti tenuti in base alle vigenti normative settoriali al ritiro di specifiche tipologie di rifiuti dalle utenze domestiche”.

Il quadro normativo si è poi concluso con la deliberazione del comitato nazionale n.2 del 20 luglio 2009 con la quale sono stati stabiliti i requisiti di iscrizione per le imprese che intendono gestire tali centri facendo rientrare tale attività nell’ambito dell’operazione di raccolta di rifiuti e quindi nella categoria 1 (raccolta e trasporto rifiuti urbani).

 Dalla lettura di tali disposizioni normative si evince che il CdR si identifica come il luogo, debitamente autorizzato ed in possesso dei requisiti minimi previsti, attraverso il quale si eroga un servizio pubblico a favore della comunità cittadina; ovvero una struttura complementare ai tradizionali servizi di raccolta differenziata che, attraverso la messa a disposizione dell’utenza di appositi spazi attrezzati per consentire il conferimento e successivo raggruppamento differenziato di alcune tipologie di rifiuti solidi urbani e assimilati, assicura come obiettivo l’incremento della raccolta dei rifiuti ivi conferiti che vengono sottratti all’abbandono abusivo sul territorio ed avviati prioritariamente ad operazioni di recupero e, per le frazioni non recuperabili, ad operazioni di smaltimento.

Tralasciando gli aspetti tecnici disciplinati dalla normativa suindicata relativamente all’ubicazione dei centri, all’aspetto progettuale ed autorizzativo ed alle modalità di gestione, analizziamo alcuni aspetti relativamente ai soggetti autorizzati a conferire i rifiuti e le relative autorizzazioni di cui munirsi.

Ci si è chiesti se un’impresa che intende trasportare ai centri di raccolta i rifiuti speciali prodotti dalla propria attività, sia obbligata ad iscriversi all’Albo ai sensi dell’articolo 212, comma 8, del D.lgs 152/06 qualora tali rifiuti siano stati assimilati ai rifiuti urbani.

Sulla vaxata quaestio con Circolare n.437 del 29 maggio 2015 il Comitato Nazionale ha stabilito l’obbligo d’iscrizione nella categoria 2-bis di cui al DM 120/2014 in quanto l’articolo 212, comma 8, del citato decreto legislativo non opera alcuna distinzione tra i rifiuti speciali ed i rifiuti assimilati ai rifiuti urbani e non prevede alcuna deroga all’obbligo di iscrizione all’Albo per il trasporto di questi ultimi effettuato dal produttore iniziale.

 Lo stesso Comitato dell’Albo si era già pronunciato in merito alla gestione dei centri di raccolta con la Circolare n. 1656 del 28 ottobre 2008 con la quale, in armonia con le disposizioni di cui all’articolo 212 del D.lgs 152/06 e con quelle del D.M. 406/98 (Regolamento dell’Albo oggi abrogato e sostituito dal D.M. 120/2014), dispone che i Comuni non sono ricompresi tra i soggetti destinatari dell’obbligo d’iscrizione per l’attività di gestione dei centri di raccolta.

Al contrario, si coglie l’occasione di chiarire, per completezza di informazione,  che nel caso di attività di trasporto dei rifiuti prodotti da attività di manutenzione svolte in economia, i Comuni posso chiedere e ottenere l’iscrizione nella categoria 2-bis, ex articolo 8, comma 1, lettera b), del D.M. 120/2014, per la raccolta e il trasporto dei propri rifiuti non pericolosi e pericolosi; a tal fine il Comune specificherà l’attività per la quale intende richiedere l’iscrizione in categoria 2-bis alla Sezione regionale dell’Albo.

Sempre in merito all’individuazione dei soggetti che possono conferire i rifiuti presso i CdR si precisa che se trattasi di utenze domestiche le stesse non sono iscritte all’Albo mentre se trattasi di imprese esse possono conferire se iscritte in categoria 1, in categoria 2-bis ed in categoria 3-bis.

Si precisa che il termine utenza domestica identifica il privato cittadino che produce rifiuti urbani e non certamente rifiuti assimilati agli urbani in quanto quest’ultimi sono rifiuti in origine speciali cioè provenienti da attività produttiva o di servizio  ma che in base ad appositi regolamenti comunali vengono assimilati e quindi gestiti come urbani dallo stesso comune che li prende in carico nell’ambito della raccolta e gestione dei rifiuti urbani (servizio pubblico).

Pe quanto concerne invece le modalità di trasporto dei rifiuti conferiti e raccolti presso i CdR, cioè in uscita da essi,  questo può avvenire o a cura di imprese iscritte nella categoria 1 (raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani) oppure ,in applicazione delle Circolari n.1464del 16 luglio 2009 e n.2937 del 22 aprile 2003 del Comitato Nazionale dell’Albo, a cura di imprese iscritte nelle categorie 4 e 5 precisando, però, che tale trasporto deve limitarsi al tragitto dalle piazzole/piattaforme o centri di raccolta agli impianti di smaltimento/recupero.

Sui centri di raccolta è intervenuto di recente il Tar Sicilia (CT)  Sez. I  n. 18 del 9 gennaio 2017, il quale, con questa pronuncia, partendo dalla definizione di centro di raccolta differenziata (CdR) di cui all’art.183, let.mm) del D,lgs n.152/06 secondo il quale si definisce come” area presidiata ed allestita, senza ulteriori oneri a carico della finanza pubblica, per l’attività di raccolta mediante raggruppamento differenziato dei rifiuti per frazioni omogenee conferiti dai detentori per il trasporto agli impianti di recupero e trattamento…” rigetta il ricorso presentato da alcuni proprietari di immobili residenti o esercenti attività imprenditoriali in prossimità di una località ove  l’ente pubblico (il Comune) aveva individuato un area per l’allestimento di un CdR comunale di Rsu e assimilati; i ricorrenti lamentavano che la realizzazione della “discarica” in quel territorio comunale  creava danno alla salute e alla incolumità pubblica degli abitanti; inoltre il centro verrebbe realizzato senza il nulla osta dell’AUSL competente per l’incidenza e gli effetti nocivi dei rifiuti pericolosi conferiti nel centro.

Il Tar precisando, come da definizione normativa sopra riportata, che in conformità alle disposizioni tecniche ministeriali contenute nel D.M.8 aprile 2008 e s.m.i., ovvero che nei CdR non viene svolto alcun trattamento di rifiuti ma viene posta in essere la sola ed esclusiva attività di raccolta di rifiuti urbani mediante raggruppamento differenziato per categorie omogenee ai fini del successivo trasporto presso gli impianti di trattamento (recupero o smaltimento), lo stesso non soggiace a tutte le prescrizioni cautelative che invece informano la disciplina dei centri di trattamento (discariche) ma esso deve possedere solo i requisiti che attengono alla localizzazione dell’area di raccolta  e alla sua costruzione secondo quando stabilito nel suindicato decreto ministeriale.

Il profili urbanistico, nel caso in esame, è coerente con la destinazione d’uso dell’area ricadente in una zona da destinare, secondo il piano regolatore, a servizi, attrezzature ed impianti di interesse generale, e che il posizionamento della struttura risponde a tali requisiti essendo stata realizzata in prossimità della reta viaria di scorrimento nonchè era stata dotata di specifiche tecniche quali recinzioni e barriere di contenimento, impermeabilizzazione, gestione delle acque, tutto nel pieno rispetto della normativa vigente.

In conclusione il giudice amministrativo consolida l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale secondo il quale l’attività dei centri di raccolta non è assoggettabile ad autorizzazione regionale o provinciale laddove la sua realizzazione è soggetta unicamente all’approvazione del comune territorialmente competente; tali centri non possono essere classificati alla stregua degli impianti di trattamento, smaltimento e

recupero, i quali sono invece sottoposti al regime autorizzatorio proprio degli impianti di gestione dei rifiuti .

A titolo esemplificativo e non esaustivo si richiama il contenuto delle sentenze n.17864 del 9 maggio 2011 e n.1690 del 14 gennaio 2013 entrambe  della Cassazione Penale-Sez.III-secondo le quali  a seguito dell’introduzione nel D.lgs. n.152/06 della definizione di “centro di raccolta”, non può più essere seguito l’orientamento che attribuiva in passato alle eco piazzole la qualifica di centri di stoccaggio di rifiuti soggetti al corrispondente regime autorizzatorio, poiché tali aree sono normativamente individuate come attività di raccolta in cui viene fatto espresso divieto di effettuare trattamenti di qualsiasi tipo, fatte salve alcune eccezioni come la riduzione volumetrica delle frazioni solide per agevolarne il successivo trasporto.

Per cui solo nel caso in cui si accerti che presso il CdR si svolgono operazioni di gestione di rifiuti in contrasto con la funzione propria del centro, allora possono ricorrere gli estremi del reato di gestione illecita di rifiuti con conseguenze sul piano penale e la necessità che in tali casi si renda necessaria l’autorizzazione regionale o provinciale.    

27/09/2017

Luciano Gianpietro 

 

www.consulenzagestionerifiuti.it

Riprodurre integralmente o parzialmente il presente testo senza citare l'autore e la fonte, è reato ai sensi della Legge 633/1941 s.m.i. con Legge 248/2000.


Articolo scritto il 27-09-2017

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